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Anno Sociale 2007/08

Governatore

Dott. Sandro Cùzari

 "con gioia a servizio

dei bambini"

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OSSERVATORIO KIWANIS

Petizione contro gli abusi di psicofarmaci ai bambini

Il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani sarà presente sabato 27 settembre dalle 9.00 alle ore 19.00 a Bolzano presso il Museo Özi per organizzare una grande raccolta di firme.

In Alto Adige la psichiatria sta promuovendo una nuova “malattia dei bambini”: ADHD mancanza di attenzione e iperattivitá. Da loro definita “malattia”, anche se non riescono a dimostrare nessuna alterazione organica. Questa presunta malattia viene diagnosticata solo con qualche sciocca domanda. Come per esempio: il bambino muove spesso le mani o chiacchiera troppo. Non esiste nessun altro mezzo con il quale si possa fare diagnosi.

E ora abbiamo scoperto le sconvolgenti intenzioni della psichiatria e della sanità altoatesina. C’è una lettera ufficiale dell’assessorato alla sanità che parla di un progetto di screening per tutti i bambini a partire da età tenerissime al fine di “diagnosticarli” ed etichettarli come malati mentali, o peggio imbottirli di pericolosi psicofarmaci che possono indurre pensieri suicidi o creare gravi problemi cardiaci.

La gente dell’Alto Adige vuole proteggere i bambini dalle lobby psichiatriche e dalle case farmaceutiche, ma la classe politica non si è ancora fatta sentire.

Se avete a cuore i nostri bambini, affinché non vengano etichettati come malati mentali e imbottiti con pericolosi psicofarmaci, allora venite al Museo Özi a Bolzano sabato 27 settembre dalle 8.00 alle 19.00 per firmare la nostra petizione. Voi potete aiutare.

www.ccdubozen.org

 

Unterschriftensammlung gegen Psychopharmaka an Kinder

Das Bürgerkomitee für Menschenrechte wird am Samstag den 27.September von 9.00 bis 19.00 in Bozen neben dem Özi Museum anwesend sein, um eine große Unterschriftensammlungsaktion zu machen.

In Südtirol will die Psychiatrie eine neue „Kinderkrankheit“ werben. ADHS Aufmerksamkeitsdefizit – Hyperaktivitätsstörung, was sie als „Krankheit“ definieren, obwohl sie keine organischen Abänderungen feststellen können. Diese angebliche Krankheit wird nur mittels einiger dummen Fragen diagnostiziert. Wie zum Beispiel: Bewegt das Kind oft die Hände, oder plappert es zu viel. Es gibt keine anderen Mittel, wo die Psychiatrie diese diagnostizieren kann.

Jetzt haben wir die erschütternden Absichten der Psychiatrie im Gesundheitswesen von Südtirol erfahren. Es ist ein offizieller Brief des Gesundheitsassessors, welcher über ein Projekt über Massendiagnosen aller Kinder spricht, beginnend schon mit dem Kleinkindalter an, mit dem Ziel, sie als geisteskrank zu diagnostifizieren und zu etikettieren, aber schlimmer noch sie mit gefährlichen Psychopharmaka vollzustopfen, welche Selbstmordgedanken und schwere Herzprobleme hervorrufen können.

Die Bevölkerung von Südtirol möchte die Kinder gegen die psychiatrischen Lobby und der Pharmaindustrie schützen, aber die politische Schicht hat bis jetzt leider noch nichts gemacht.

Wenn Sie ein Herz für unsere Kinder haben, solange sie noch nicht als geisteskrank abgestempelt, und mit gefährlichen Psychopharmaka vollgestopft worden sind, dann kommen Sie am Samstag den 27.September von 9.00 bis 19.00 vorbei, um in Bozen neben dem Özi Museum Ihre Unterschrift abzugeben. Ihr könnt helfen.

www.ccdubozen.org

 

 

 

Il numero verde dell’Osservatorio dei Diritti dell’Infanzia, deliberato dal CdA  lo scorso 15 settembre a Messina, è regolarmente funzionante:

800 092 999

L'Osservatorio raccoglie denunce, segnalazioni, comunicazioni relative a violenze e maltrattamenti del bambino denunciandone i fatti alle competenti autorità amministrativa e giudiziaria.

Si adopera perché siano concretamente rispettati i diritti del bambino; monitora esperienze significative per fornire risposte adeguate ai bisogni reali; appronta  iniziative, studi, proposte, strumenti atti a contrastare ogni forma di violenza o di maltrattamento, di discriminazione e di lavoro minorile, ed ogni altra forma di condizionamento.

Collabora con autorità e organizzazioni, nazionali ed internazionali, per la tutela del bambino.  

Ringrazio pubblicamente il Chairman Andrea Di Francia per l’impegno che ne scaturirà ed il Direttore della sede di Roma Luigi Russo che ha portato a buon fine questa qualificante e significativa iniziativa deliberata dal Distretto nell’interesse del Kiwanis e della comunità.

Sandro Cuzari

 Governatore

 

Diritti Umani 

PRESENTATO IL NUOVO RAPPORTO UNICEF SUI DISTURBI NEI BAMBINI DOVUTI ALLA CARENZA DI IODIO  

Copertina del rapporto "Sustainable Elimination of Iodine Deficiency"

                          Copertina del rapporto - ©UNICEF

http://www.unicef.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/4649

 

NEW YORK - I disturbi dovuti alla carenze di iodio, la principale causa singola di ritardo mentale, sono oggetto dell’ultimo rapporto dell’Unicef presentato oggi, che esamina i progressi compiuti negli ultimi due decenni per la prevenzione del problema, le conoscenze acquisite e i principi guida per conseguire progressi futuri.
I disturbi dovuti a una dieta carente di iodio sono particolarmente dannosi durante la fase iniziale della gravidanza, in quanto ritardano lo sviluppo del feto, specialmente lo sviluppo cerebrale, provocando vari deficit intellettuali, motori e di udito. Come evidenzia il nuovo rapporto dell’UNICEF ‘Eliminazione sostenibile delle carenze di iodio’, tali problemi sono prevenibili facilmente e a basso costo, tramite la iodurazione di tutto il sale destinato al consumo umano ed animale.
"Il rapporto mostra come negli ultimi 20 anni i governi, l’industria del sale e le comunità hanno conseguito, con il sostegno dell’UNICEF, grandi progressi nell’eliminazione delle carenze di iodio attraverso la iodurazione universale del sale", ha dichiarato il Direttore associato per la nutrizione dell’UNICEF, Werner Schultink.
Le partnership sono state cruciali per il raggiungimento di tali risultati. Organizzazioni quali "The International Council for the Control of Iodine Deficiency Disorders",
"Kiwanis", "The Micronutrient Initiative", "Global Alliance for Improved Nutrition", "Centers for Disease Control" hanno collaborato insieme con i governi e l’industria del sale, sostenute dalle organizzazioni e i governi donatori.
"34 Paesi hanno raggiunto la iodurazione universale del sale", ha aggiunto Werner Schultink, "ma ogni anno ancora 38 milioni di bambini nascono con il rischio di subire danni cerebrali a causa della carenza di iodio: non è dunque il caso di compiacersi degli sforzi finora compiuti per combattere il problema".
Insieme ai Paesi che hanno raggiunto la iodurazione universale del sale, vi sono due aree regionali che sono vicine a questo traguardo, cioè l’area dell’America latina e dei Caraibi, dove l’85% delle famiglie consuma sale iodato, e quella dell’Asia orientale e del Pacifico, dove tale percentuale è dell’84%. Altre regioni incontrano però seri problemi.
Il rapporto sottolinea 5 principi guida, ricavati dalle conoscenze acquisite negli ultimi 20 anni, per completare con successo la lotta globale per l’eliminazione dei disturbi da carenza di iodio. Tra questi, assicurare l’impegno politico: un forte e continuo impegno e motivazione sia dei governi che dei produttori sono essenziali; costituire partnership e coalizioni: le partnership tra governi e donatori, tra governi e produttori di sale e tra tutti coloro che sostengono gli sforzi per l’eliminazione di tali disturbi devono essere rafforzate a tutti i livelli, garantire la disponibilità adeguata di sale iodato: l’industria del sale deve riconoscere il processo di iodurazione come una responsabilità fondamentale; i governi devono operare con i produttori di sale per migliorare le loro capacità, e i produttori devono mantenere e migliorare questa capacità.
Inoltre, potenziare i sistemi di monitoraggio: un sistema di monitoraggio efficace e costante è essenziale. Tre tipi di monitoraggio sono necessari, sul processo di iodurazione del sale dall’industria alle famiglie; sull’impatto sui livelli di iodio nella popolazione e sulla complessiva sostenibilità del programma; mantenere costante la comunicazione e l’educazione sul fenomeno: gli interventi di comunicazione dovrebbero prevedere chiare responsabilità e includere messaggi specifici adattati ad una vasta gamma di destinatari, tra cui i leader politici nazionali, l’industria del sale, i media, i gruppi tecnici e professionali, gli insegnanti e le famiglie.

 

Andrea Di Francia segnala

il seguente articolo del prof. dott. Dino Pedrotti, illustre neonatologo e pediatra (autore, tra l'altro, dei famosi 10 Comandamenti del Signor Neonato), pubblicato dal giornale "l'Adige" del 13 giugno 2008

MESIANO: SOLO IN FAMIGLIA SI PUÒ PREVENIRE

Del “caso Mesiano” ho parlato con genitori che discutono con me su come muovere i primi passi in vista del futuro comportamento del figlio e su come “essere genitore” (fin dai corsi di preparazione alla nascita e alla “genitorialità”). Ho letto lettere di giovani che riconoscono di “aver violato regole di civiltà”. Ho letto che il sindaco Pacher è turbato, vuole capire e chiama la città a ragionare sul fatto. Ho letto la lucida e chiara intervista al dott. Bincoletto: la colpa, o meglio la responsabilità, è senz’altro dei genitori disorientati e di uno stato troppo tollerante. Le famiglie si aspettano che sia la scuola ad insegnare la cosiddetta “educazione civica” e così i genitori non responsabilizzano i figli; anzi rifiutano di sentirsi loro responsabili.

Di fronte a ogni grave fatto compiuto da giovani o adolescenti si discute subito sulla prevenzione terziaria (allontanamento dalla scuola, punizioni esemplari, carabinieri alle feste,…) e su quella secondaria (interventi della scuola), ma si ragiona poco, pochissimo sulla prevenzione primaria del “disagio”, quella più efficace, quella che si deve praticare in famiglia nei primi anni di vita. Quando i bambini vanno a scuola, hanno già impostato le fondamenta della loro personalità, e molti purtroppo hanno già capito che il mondo è dei furbi e dei forti, che si deve vincere ad ogni costo, anche imbrogliando; hanno già passato migliaia di ore davanti ad una TV con scene violente; hanno già avuto tutto-subito-gratis da genitori permissivi che li hanno coccolati come “oggetti di piacere”. Sono sempre meno i bambini maltrattati, ma molti figli sono tuttora  considerati come “oggetti di proprietà”, anziché “soggetti di diritto”.

Si parla poco di responsabilità (di genitori e bambini) e molto di diritti, forse troppo e comunque in modo troppo confuso: sacrosanti i “diritti ad avere quello che serve per essere bambini” (vita, salute, gioco, istruzione, famiglia,…) ma non “diritti a fare e ad avere tutto”! È giusto mettere i bambini con la fascia tricolore sulla poltrona del sindaco? Lo chiedo spesso in vari incontri, anche in quelli dell’UNICEF, dove si esaltano – giustamente – i veri diritti conquistati dai bambini negli ultimi decenni.

Quando visito un bambino nel secondo anno di vita, chiedo spesso ai genitori se sono preparati a saper rispondere alla giuste provocazioni del figlio nei prossimi tre-quattro anni. Dopo che un bambino prende possesso dell’ambiente e dice le famose paroline “io, io voglio, è mio”, ha diritto ad avere dei genitori-istruttori che lo aiutino a regolare e incanalare la sua naturale aggressività. Era facile per le nonne bloccare ogni provocazione; oggi non è più di moda usare le cattive, e allora i genitori scelgono la strada altrettanto facile di concedere tutto o di zittirlo con la TV, col risultato di avere tanti, troppi bambini viziati.

La terza strada, quella del dialogo, non è facile, ha bisogno di riflessione, di sacrifici, di tecniche e parole giuste da imparare. Se dovessimo scegliere per nostro figlio un bravo istruttore per insegnargli a giocare a tennis, non ne sceglieremmo uno troppo duro e nemmeno uno troppo debole, ma uno autorevole che studia bene le tecniche e i giusti modi per insegnarle. Deve cercare di tenere il più possibile le palline in gioco, capire dove il bambino le lancia e rinviarle in modo che lui possa prenderle: questa è la tecnica del dialogo!

Insomma, noi vediamo un fiume in piena e alziamo gli argini (prevenzione secondaria), ma ci disinteressiamo delle vere cause dell’alluvione: a monte non regoliamo i flussi d’acqua dei ruscelli, anzi li facciamo scorrere veloci perché ci piace vederli puliti e scintillanti, senza preoccuparci delle conseguenze a valle. Altra immagine: dobbiamo considerare nostro figlio come “materiale esplosivo” che può scoppiarci tra le mani se lo battiamo o se lo scaldiamo troppo. Mi meraviglio che ci si meravigli di quel che sta succedendo: mettiamo i nostri figli al caldo eccessivo delle nostre attenzioni, ma non studiamo le conseguenze delle nostre azioni. Trovo giusto e logico che un giovane annoiato e viziato e coccolato giochi a rompere tutto quel che trova, a drogarsi, a stuprare ragazzine. Perché no? “Noi abbiamo studiato su internet come si fa, e perché non dovevamo farlo?” hanno detto degli adolescenti dopo un fattaccio del genere.

Anche l’avv. Andrea di Francia scriveva su l’Adige del 16 maggio scorso che, se i bimbi rubano, la colpa è dei genitori. I ragazzini e gli adolescenti violenti o drogati sono spesso frutti marci di una pianta a cui non abbiamo dato le giuste cure fin dal momento della semina. I contadini sanno fare marcia indietro, quando vedono che certe cure sono state eccessive o troppo scarse e studiano come rimediare. Oggi i genitori sono deboli, irretiti da una società dei consumi fondata sull’Avere e sull’Apparire, dalla pubblicità, dalla moda, dall’effimero, dal wellness; non pensano che un bambino da loro viziato sarà ovviamente un adolescente a rischio e accusano la società, il sistema, la scuola…

Di fronte a questi disastri, vogliamo cominciare a studiare, come fanno i contadini, come fanno gli istruttori del tennis, come fanno i responsabili dei bacini montani, come fanno gli artificieri che maneggiano esplosivo? Per la prima volta al mondo i genitori di oggi “devono” studiare.

dinopedrotti@libero.it

UN IMPORTANTE CONVEGNO INTERNAZIONALE SULL’INFANZIA

 

Si è tenuto a Treviso, il 6 giugno 2008, un importantissimo Convegno Internazionale di Studio “Giornata dell’attenzione all’infanzia in casa, a scuola, sulla strada, negli ambienti di svago. Il bambino e l’uso improprio di psicofarmaci”, organizzato dal MO.I.CA. Movimento Italiano Casalinghe Onlus-Aps.

Vi ha partecipato anche Andrea Di Francia, Chairmain “Osservatorio Diritti dell’Infanzia”.

Meritano di essere conosciuti alcuni dati e riflessioni emersi in quella sede.

SICUREZZA STRADALE

Il dott. Marco Giustini, dell’Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento di Ambiente e Connessa Prevenzione Primaria, Reparto Ambiente e Traumi, comunica che, in Italia muoiono, per incidenti stradali, 113 bambini di età compresa tra 0 e 14 anni, pari al 2% del totale delle morti per incidente stradale. Di questi, 71, pari al 62,8%, sono trasportati, 18 pedoni (15,9%) e 24 conducenti di biciclette e/o ciclomotori (21,2%). L’entrata in vigore della legge sull’uso obbligatorio di cinture e seggiolini per bambini, e l’uso generalizzato del casco (importante questo per i quattordicenni) hanno contribuito in modo sensibile a ridurre questo quadro drammatico. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha predisposto il seguente

DECALOGO DELLA SICUREZZA STRADALE DEL BAMBINO

1.- Spiega al tuo bambino, sin da piccolo, che la strada nasconde grossi rischi, anche perché tanti conducenti possono andare troppo veloci, essere imprudenti, aggressivi, distratti, o addirittura guidare sotto l’influenza di bevande alcoliche.

2.- Insegna, appena possibile, al tuo bambino ad attraversare in sicurezza una strada. Continua ad addestrarlo nel tempo ed assicurati che lo faccia sempre correttamente e sempre con grande prudenza ed attenzione. Se passeggi con lui, tienilo, comunque, sempre per mano.

3.- Non lasciare mai solo il tuo bambino, specie in prossimità di una strada dove transitano veicoli.

4.- Non lasciare mai il tuo bambino in auto, anche se per poco tempo (in particolare, ricordati che, con il finestrino chiuso, in estate la temperatura all’interno dell’abitacolo può salire molto rapidamente, con conseguenze anche molto gravi).

5.- Se il tuo bambino va in bicicletta, fagli usare sempre l’apposito caschetto.

6.- In moto o in ciclomotore, fai sempre indossare al tuo bambino il casco.

7.- In auto, trasporta sempre il tuo bambino negli appositi seggiolini o, se è già grandicello, assicuralo con la cintura di sicurezza.

8.- Non trasportare mai il tuo bambino in braccio nella parte anteriore dell’auto: in caso d’urto, il bambino sarà proiettato violentemente contro il parabrezza e non riuscirai a trattenerlo. Inoltre, se la macchina è dotata di air bag, proprio l’uscita esplosiva dell’air bag potrebbe ferirlo molto gravemente o addirittura ucciderlo.

9.- Evita di trasportare il tuo bambino in seggiolino nella parte anteriore dell’auto se questa è equipaggiata con air bag.

10.- Sii di esempio al tuo bambino: guida con prudenza, metti sempre il casco sulle due ruote ed utilizza sempre le cinture di sicurezza, anche nella parte posteriore dell’autoveicolo.

SIDS

Il dott. Antonino Reale, Responsabile dell’Unità Operativa Pediatria dell’emergenza – DEA- Ospedale “Bambino Gesù” di Roma, ha parlato della SIDS ( Sudden Infant Death Sindrome), cioè della morte improvvisa ed inaspettata di un lattante sotto l’anno di vita senza possibilità di accertarne la causa. Ha detto che la SIDS colpisce, in Italia, circa un bambino ogni mille nati rappresentando la causa più frequente di morte tra 1 e 12 mesi di vita, con un picco di maggior incidenza tra i 2 e i 4 mesi. Ha individuato, nelle seguenti, l principali cause che possono aumentare il rischio di morte:

-         la posizione prona durante il sonno

-         il mancato allattamento materno

-         il fumo materno in gravidanza

-         il fumo nell’ambiente dove vive il bambino

-         l’eccessiva temperatura nella stanza in cui dorme il bambino

-         la stagione invernale

-         la concomitanza di infezioni respiratorie

-         l’utilizzazione di cuscini e materassi troppo morbidi.

Ha aggiunto che le campagne per la eliminazione dei fattori di rischio ed in particolare la raccomandazione a far dormire i bambini sulla schiena, hanno permesso, specie negli Stati Uniti, di dimezzare la mortalità per SIDS. 

ALCOL

Il prof. Emanuele Scafato, WWHO Colalborating Centre for Research and Health Promotion on Alcohl and Alcohl-related Health Problems-Istituto Suoeriore Sanità-155, ha parlato su “I bambini, i giovani e l’alcol: analisi e considerazioni”, evidenziando, tra l’altro che:

-         il consumo e l’abuso di alcol fra i giovani e gli adolescenti è un fenomeno preoccupante e in forte crescita sia a livello internazionale che nazionale;

-         dal progetto europeo di indagini condotte nelle scuole (ESPAD) è emerso che, escludendo tabacco e caffeina, l’alcol è la sostanza psicoattiva maggiormente utilizzata dai giovani dell’UE. La percentuale degli studenti di 15-16 anni si sono sono ubriacati almeno qualche volta varia dal 36% in Portogallo all’89% in Danimarca. La cultura del bere attualmente diffusa tra i giovani segue sempre più frequentemente standard orientati verso modelli di “binge-drinking” ossia il “bere per ubriacarsi”, 5 drink di seguito;

-         il consumo di alcol in Italia è un fenomeno in continua evoluzione dal 1998 al 2003 sono aumentate per entrambi i sessi le prevalenze dei consumatori teenager di super alcolici (+24,4%), di aperitivi alcolici (+ 46,1%) e dei consumatori fuori pasto (+ 50%); nel caso di queste due ultime tipologie di consumo le variazioni maggiori si registrano per il sesso femminile;

-         le conseguenze legate a questo fenomeno, dannoso per la salute stessa (maggiori probabilità di contrarre tumori, problemi di pancreas ed al sistema cardiovascolare, problemi gastrointestinali e neurologici, danni al sistema riproduttivo), risultano essere molteplici anche a causa dei cosiddetti effetti secondari, indotti da comportamenti a rischio sotto l’effetto dell’alcol:

- la guida in stato di ebbrezza, che, a sua volta, è la causa principale di incidenti stradali spesso mortali.

- La violenza intrafamiliare alcol correlata

- La violenza extrafamiliare o comunque agita contro i terzi.

- Provocare danni alla proprietà altrui

- Il peggioramento delle prestazioni scolastiche che spesso conducono all’abbandono degli studi.

Uno dei principali ostacoli alla diffusione di una corretta informazione e comunicazione sui rischi e danni causati dall’alcol è rappresentata dalle pressioni sociali al bere e dall’azione dei mass media e delle pubblicità che privilegiano l’uso di associazione di immagini di successo (ricchezza, sesso, salute, amicizia) al consumo di alcol proposto anche attraverso il ricorso a testimonial o a personaggi famosi del mondo dello sport, della moda e del cinema.

L’abuso di alcol in Italia è quindi un fenomeno che, nel corso degli anni, si è tristemente connotato come prima causa di mortalità prematura, disabilità e, in genere, di rischio per i giovani (850.000 giovani di età al di sotto dell’età legale consuma bevande alcoliche).,  i quali, spesso, vengono, ingiustificatamente, indicati come i perpetratori di danni, di violenze o di atti contrari alla civile convivenza, dimenticando o sorvolando sulla circostanza che essi stessi sono, invece, le prime vittime dell’alcol e delle pressioni al bere che hanno raggiunto in Italia livelli di esposizione mai verificati in passato. Si aggiunga la carenza di un controllo formale o informale sui comportamenti a rischio frequentissimi, ad esempio, nelle discoteche.

 

“IRAN, 100 MINORI ATTENDONO LA FORCA”

KIWANIS INTERNATIONAL DISTRETTO ITALIA-SAN MARINO

Chairman “Osservatorio Diritti dell’Infanzia”

 

 

AL PRESIDENTE ELETTO

DANIEL VIGNERON

B-6690 VIELSALM

BELGIUM

 

°°°°°°°°°°°

 

Carissimo Presidente Eletto,

 

quale Chairman “Osservatorio Diritti dell’Infanzia” del Kiwanis International Distretto Italia-San Marino, sento il dovere di comunicarTi quanto –non senza inorridire- ho letto, a pag. 14, del quotidiano, edito a Verona, “Città”, di mercoledì 28 maggio 2008:

 

“IRAN, 100 MINORI ATTENDONO LA FORCA”. “Sono cento i minorenni che attendono di essere impiccati nelle carceri iraniane. Lo ha reso noto l’avvocato di venti di loro, Mohammad Mostafai, che in una lettera aperta inviata al capo dell’apparato giudiziario, ayatollah Mahmud Hashemi Shahrudi, ha chiesto la cancellazione delle esecuzioni”.

Non occorre spendere eccessive parole per dimostrare che la condanna di minorenni alla pena capitale costituisce una barbarie inaudita, la quale nega, in radice, il massimo valore dell’umanità, qual è il diritto alla vita: diritto fondamentalissimo dell’essere umano, espressamente previsto e tutelato, in ambito internazionale:

-         dall’art.6, comma 1 della Convenzione di New York 20 novembre 1989 (“Gli Stati parti riconoscono che ogni fanciullo ha un diritto inerente alla vita”);

-         dall’art. 2, comma 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, firmata a Nizza il 7 dicembre 2000 (“Ogni individuo ha diritto alla vita”);

-         dall’art. 3 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo (“Ogni individuo ha diritto alla vita…”); dall’art. 37, comma 1, lettera a) della Convenzione sui diritti del fanciullo (New York 20 novembre 1989), per il quale “Gli Stati vigilano affinchè: a) nessun fanciullo sia sottoposto a tortura o a pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Né la pena di capitale né l’imprigionamento a vita senza possibilità di rilascio devono essere decretati per reati commessi da persone di età inferiore a diciotto anni”.

L’abolizione della pena di morte fu oggetto di un apposito Protocollo addizionale al patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato nel 1989, dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (negli Stati Uniti, la Supreme Court Of United States of America, Simmons Case, 1, March 2005 -cit. nel Codice della famiglia, a cura di Michele Sesta, Giuffrè, Milano, 2007, p. 160- ha dichiarato incostituzionale l’esecuzione della pena capitale per reati commessi da minori di 18 anni).

Ti manifesto la più profonda indignazione per una così inqualificabile, ingiustificata ed ingiustificabile ferocia e, a nome mio personale, del Governatore del mio Distretto dott. Sandro Cuzari, delle altre Autorità del mio Distretto, dei kiwaniani tutti e dell’Umanità intera, Ti prego, carissimo Presidente Eletto, di intervenire, tempestivamente, segnalando il gravissimo, inqualificabile fatto alla COMMISSIONE EUROPEA perché faccia sentire la sua autorevole voce a difesa del diritto alla vita e ponga in essere ogni sforzo atto ad evitare che 100 minorenni siano impiccati.

Ove, infatti, fosse eseguita una tale aberrante sentenza, anche per un solo bambino, l’umanità tutta verrebbe gravemente ed irrimediabilmente offesa nel suo valore più alto e più profondo.

A Tua completa disposizione per quant’altro possa esserTi utile e, grato per quanto potrai fare, Ti porgo i più cordiali saluti

Avv. Andrea Di Francia

C.so Buonarroti, 47

38100 TRENTO (Italia)

Tel. +39-0461/827040

Cell. +39-328/7397260

e-mail: andrea.difrancia@tele2.it

Trento, 30 maggio 2008.-

 

MOZIONE APPROVATA ALLA XXXI CONVENTION DI

TAORMINA GIARDINI NAXOS IL 24.05.2008

>>>

FIGLI SOTTRATTI AI GENITORI: TUTELA O ABUSO?

Relazione di Andrea Di Francia a Verona il 4-6-2008

L’interrogativo proposto (“tutela o abuso?”) apre a riflessioni che coinvolgono, da un lato, la tutela del minore e, dall’altro, sistemi di competenze e di formazioni distinte, quali:

-         il sistema degli organismi giudiziari minorili;

-         il sistema dei servizi territoriali pubblici e privati.

Diciamo subito che si tratta di sistemi  in crisi da tempo, incapaci, attualmente, di assolvere ai delicati compiti cui sono preposti.

Si aggiunga che, in Italia, come in altri Paesi, la cultura popolare sul minore è tuttora impregnata di supeficialismo e di luoghi comuni che garantiscono certamente al bambino la salvaguardia di standards minimali di sopravvivenza, ma sono ben lontani dal garantire le ulteriori necessità evolutive rappresentate dalla Convenzione di New York 20 novembre 1989, resa esecutiva in Italia con legge n.176 del 1991.- Ai contenuti di questa Convenzione si ispira l’azione del Kiwanis International Distretto Italia-San Marino che ho l’onore di rappresentare in questa sede.

La verità è che le problematiche minorili sono affidate agli studi di pochi tecnici e le acquisizioni scientifiche non hanno la necessaria diffusione nella popolazione.

La crisi (che possiamo dire, ormai, fallimentare)  non riguarda soltanto il sistema degli organismi giudiziari minorili e dei servizi territoriali, ma lo stesso sistema legislativo, astretto in una evidente ed inconciliabile divergenza tra affermazioni di principio e tutela pratica dell’infanzia.

In linea teorica:

- una legislazione dominata dal principio informatore dell’interesse del minore;

- l’istituzione del Tribunale per i minorenni;

- la normativa fortemente garantistica del nuovo Codice di procedura penale;

- la previsione di un’assistenza sociale e sanitaria gestita dallo Stato;

- i principi del nuovo diritto di famiglia e della legge n. 184 del 1983, sulla disciplina delle adozioni;

- le modifiche della legge n. 149 del 1991 e la legge n. 54 del 2006 sull’affidamento condiviso,

farebbero ritenere che il legislatore rivolge, all’infanzia e alle famiglie, un’attenzione particolare.

Non è così. La realtà pratica parla un linguaggio ben diverso. Parla:

-         di scarsità delle risorse umane e materiali;

-         di una normativa contraddittoria e di difficile applicazione;

-         di riforme non entrate in vigore perché prive della necessaria copertura finanziaria;

-         della mancata istituzione di figure professionali;

-         delle carenze strutturali e della frammentarietà ed a volte sovrapposizione e confusione degli interventi, sino a creare una dissociazione tra previsioni e realizzazioni, tra una cultura minorile d’élite ed una prassi molto riduttiva

Si pensi, ad esempio, alla legge n. 149 del 2001. Questa legge aveva introdotto norme molto garantistiche in favore dei genitori dei minori sottoposti alle verifiche sull’esercizio della potestà e sull’esistenza dello stato di abbandono da parte del tribunale per i minorenni. Ebbene, tale legge è stata costretta al rinvio fino al 1° luglio 2007, per mancanza di copertura finanziaria.

Nella recente normativa sull’affidamento condiviso, il legislatore ha considerato soltanto le separazioni personali tra genitori coniugati. Si è dimenticato che esistono anche figli di genitori non coniugati  e, quando si è avveduto, ha detto che la legge si applica anche ai genitori naturali, senza considerare che esiste un tribunale per i minorenni dove si applica una diversa procedura e che, in quella sede, manca il presupposto dell’affidamento condiviso, cioè la pronuncia di separazione giudiziale.

Per venire più direttamente al tema proposto, si deve ricordare, innanzitutto, che qui vengono in rilievo due  diritti fondamentali del minore: a) il diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia (art. 1 legge 4 maggio 1983, n. 184, come sostituito dalla legge 28 marzo 2001, n. 149); b) il diritto di non essere separato dai propri genitori contro la sua volontà (art. 9 della Convenzione di New York del 1989).  La Corte europea dei diritti dell’uomo ha statuito che “il godimento della compagnia reciproca, da parte dei genitori e figli, costituisce un elemento fondamentale della vita familiare come stabilito dall’art. 8 della Convenzione”, il quale persegue l’obiettivo primario “di tutelare l’individuo dall’azione arbitraria delle autorità pubbliche”. Ed ha aggiunto che “l’art.8 include il diritto dei genitori all’adozione di misure volte a riunirli con i propri figli e un obbligo delle autorità  nazionali di facilitare tali riunioni” (sent. 13.3.2007).

Perciò, ogni qualvolta si sottrae il minore ai suoi genitori si corre il rischio di violare questi due importantissimi diritti. Si tratta, allora, di vedere quando tale sottrazione possa legittimamente avvenire e da parte di chi.

Alla prima domanda, risponde l’art. 403 del codice civile, per il quale:  “Quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere alla educazione di lui, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell’infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione”

Si tratta di situazioni soltanto temporanee. Infatti:

a)    l’allevamento in locali insalubri o pericolosi va rimossa con l’assegnazione di una casa decorosa alla famiglia del minore;

b)     l’incapacità educativa implica un’attenta valutazione da parte di persone professionalmente preparate e capaci e va comunque superata mediante la manifestazione di disponibilità a seguire le indicazioni di tali persone;

c)    anche l’abbandono materiale o morale deve essere considerato in un’ottica di temporaneità. La Suprema Corte, infatti, ha statuito che si dovrà, in primo luogo, procedere al recupero della famiglia di origine mediante i servizi sociali. E ai servizi sociali, la Cassazione raccomanda “ di non limitarsi a registrare passivamente le insufficienze della situazione in atto, ma di costruire, con gli opportuni strumenti di aiuto e di sostegno, nella famiglia del sangue, relazioni umane significative ed idonee al benessere del bambino” (Cass. 28 giugno 2006, n. 15011). E’ fin troppo noto, infatti, che la eccessiva burocratizzazione dei servizi sociali ne ha minato l’efficienza e che, per rimediare a tale situazione, si è ritenuto che la disciplina del Welfare (benessere, prosperità) debba essere improntata ad una logica che non privilegi l’apparato pubblico, ma che investa sull’associazionismo privato sia pure nell’ambito delle linee guide tracciate dai pubblici poteri, cui spetta la erogazione delle relative risorse economiche.

L’accertamento di tali presupposti non può prescindere dall’ascolto del minore. Il diritto del minore ad essere ascoltato è riconosciuto:

-         dall’art. 316 c.c. che riguarda il contrasto con i genitori (l’ascolto necessario è per il minore che abbia compiuto 14 anni);

-         dall’art. 371 c.c. che prevede l’obbligo per il giudice di ascoltare il minore che abbia compiuto 10 anni prima di decidere sul luogo dove deve essere allevato o sull’indirizzo da dare ai suoi studi o sull’avviamento professionale;

-         dalla legge n. 184 del 1983, come modificata dalla legge n. 149 del 2001, che disciplina l’adozione dei minori sancisce l’obbligo di ascoltare il bambino che abbia compiuto 12 anni e se capace di discernimento, anche di età inferiore;

-         dall’art. 155 sexies c.c. sull’affidamento condiviso fa obbligo dell’ascolto dei minori coinvolti nella separazione dei loro genitori.

Non si trascuri di considerare che, approfonditi studi e ricerche, hanno confermato che il bambino, sin dall’età di cinque anni, acquista l’uso della ragione ed è, perciò, portato, sin da tale età, a percepire e capire gli stati d’animo delle persone che lo circondano, le incomprensioni dei genitori, la mancanza di sintonia all’interno della famiglia ed è in grado, quindi, di offrire al giudice riferimenti, giudizi, indicazioni utili per meglio risolvere la situazione d’incomprensione che lo circonda. Sarebbe, perciò, sminuire il suo “sentire”, fatto di gioie e di dolori, il fatto di non tener conto dei suoi stati d’animo, giudizi, impressioni ed aspirazioni.

Non può sottacersi, inoltre che, nei procedimenti di cui agli artt.330 ss. c.c., inerenti il controllo della potestà dei genitori, per il quale è competente il tribunale per i minorenni, l’ascolto del minore è lasciato alla piena discrezionalità del giudice minorile. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 1 del 2002, ha ribadito che il bambino deve essere ascoltato, avendo il nostro ordinamento recepito l’art. 12 della Convenzione di New York, in modo diretto dal giudice stesso o indiretto attraverso l’ascolto da parte di un rappresentante o di un servizio appropriato che ne riferiranno poi al giudice.

Si aggiunge che la Convenzione di Strasburgo del 1966, ratificata in Italia con legge n. 77 del 2003 riconosce al minore, capace di discernimento, “il diritto di ricevere ogni informazione pertinente, di essere consultato e di esprimere la propria opinione, di essere informato delle eventuali conseguenze della messa in pratica della sua opinione e delle eventuali conseguenze di ogni decisione”.

Nei casi di:

-         separazione personale, per l’affidamento dei figli;

-         interventi di limitazione o di decadenza della potestà genitoriale e di regolamentazione dell’esercizio della potestà;

-         accertamento dello stato di abbandono;

-         procedimenti dinanzi al Tribunale per i minorenni

acquista notevole importanza la consulenza psicologica, richiesta dal giudice nell’ambito dei relativi procedimenti giudiziari. Occorre che il consulente:

-         analizzi ed approfondisca con rigore metodologico ed il rispetto delle regole processuali e deontologiche, la situazione personale e relazionale del bambino, partendo dall’ascolto qualificato dello stesso;

-         approfondisca le relazioni interpersonali tra il bambino e le sue diverse figure di riferimento, indispensabile per la formulazione di una diagnosi esaustiva e di appropriati interventi volti al benessere del minore;

-         valuti i contesti di vita del minore, familiari e non, nel quale è inserito;

-         metta in luce la situazione psicologica del bambino, con i suoi specifici bisogni, con le sue risorse reali e potenziali, nonché i fattori di rischio e protettivi dell’ambiente in cui vive, la reale disponibilità e capacità da parte delle figure di riferimento a ridefinirsi, cambiare atteggiamenti e a prendersi adeguata cura di lui.

Non a caso, da più parti (cfr. Ianniello e Mari, p. 147) si prospetta la necessità di riforma dell’albo dei consulenti e che si abbandoni la prassi, ormai consolidata, di incaricare i consulenti sulla base di un rapporto personale, a volte solo di amicizia o di segnalazione sul tipo di “passaparola”. La riforma dovrebbe indicare e definire i requisiti minimi per l’iscrizione, rendere più rigorosi i criteri di ammissione sulla base di percorsi formativi e professionali qualificati e mirati, per arrivare ad individuare nuovi profili professionali che, se da un lato, garantiscono un’alta preparazione specialistica, dall’altro sono più attenti al rapporto con la magistratura e la giustizia. Il professionista deve essere competente e deve saper entrare nella sintonia processuale, deve conoscerne le regole, tutti i protagonisti, deve integrare il suo sapere e il suo linguaggio con quelli giuridici, nel rispetto della propria autonomia professionale.

Tra i soggetti preposti allo svolgimento di delicate funzioni, assume particolare importanza l’assistente sociale, cui spetta il compito di:

-         segnalare al Tribunale per i minorenni le situazioni di oggettivo e grave abbandono o di grave pregiudizio per un minore;

-         di proporre, in collaborazione con gli altri professionisti coinvolti, l’attivazione di interventi di sostegno assistenziale ed educativo (affidamenti familiari o in strutture d’accoglienza; azioni di sostegno alla rete relazionale o di supporto psicologico), nell’intento di ricostruire idonee relazioni genitoriali, finalizzate a salvaguardare, per quanto possibile, i legami affettivi.

Oggi, purtroppo, l’esperienza ci insegna che, molto spesso, il servizio sociale viene inteso dagli stessi interessati  come un esercizio del potere e non come dedizione ad alleviare sofferenze altrui. Gli operatori sociali, inoltre, sembrano schiacciati nella routine delle procedure burocratiche. “Spesso la rete di protezione dei Servizi Sociali è del tutto insufficiente e fatica ad adeguarsi a situazioni nuove o a semplici incrementi di quei fattori di ‘rischio’ per l’infanzia, oggi presenti in maniera endemica nelle società industrializzate” (Ianniello e Mari, p. 94).

E’ necessario, quindi, che in una materia così importante e delicata, si provveda con urgenza a formare professionisti   che conoscano effettivamente procedure e metodologie occorrenti a garantire ai soggetti coinvolti l’esercizio dei propri diritti.

L’allontanamento dei figli ai genitori non può e non deve avvenire a cuor leggero, ma implica, da un lato gravi comportamenti pregiudizievoli dei primi e la predisposizione di percorsi di protezione a favore dei secondi. Questo richiede necessariamente una forte integrazione tra i sistemi sociali, sanitari e giudiziari, i quali devono collaborare costruendo linguaggi, conoscenze e saperi sempre più organici. Deve essere a tutti chiaro che occuparsi dei bambini e degli adolescenti significa, in primo luogo, conoscere l’evoluzione delle relazioni familiari e di quegli indicatori che oggi portano a disegnare un profilo di famiglia sempre più variegato, molteplice, dove si sviluppano differenti relazioni tra sessi e generazioni e dove, al fianco di famiglie anagrafiche (insieme di persone che, per vincoli di parentela o per scelta, abitano assieme), si trovano, sempre più spesso, famiglie monoparentali (con un solo genitore e figli), famiglie ricomposte (ricostituite dopo precedenti divorzi o separazioni) e famiglie ricongiunte (formate da nuclei di immigrati extracomunitari).

Il minore allontanato dai genitori può essere affidato ad una comunità di accoglienza (gestita da un’équipe integrata di educatori, assistenti sociali e psicologi) o di tipo familiare (sostenuta da una coppia, talvolta supportata dalla presenza di operatori o volontari), avendo lo scopo di favorire il reinserimento del minore nella famiglia d’origine o la sua collocazione in altra famiglia (per affidamento o adozione).

Si tenga presente, però, che una prolungata istituzionalizzione (troppo facilmente offerta in passato) comporta rischi notevoli per il minore. L’esperienza ha dimostrato che, laddove l’affidamento in comunità del bambino si protragga per un lungo tempo, egli non recupererà mai più una vita familiare al di fuori di tale Comunità. E la Corte europea dei diritti dell’uomo ha aggiunto che non si rende giustificabile un affidamento senza un limite temporale dello stesso (sent. 13.7.2000). Ebbene, nonostante che la legge 149 del 2001 ha determinato per il 31 dicembre 2006 la chiusura di tutti gli orfanotrofi, si ha notizia che in Italia vi sono 34.000 bambini ancora rinchiusi (segregati) in tali istituti. Alla Regione spetta il compito di vigilare a che simili abusi non abbiano a verificarsi.

Lavorare con e per i minori, specialmente per i minori a misura di tutela da parte dell’autorità giudiziaria, richiede competenze specifiche, un chiaro mandato istituzionale, abilità personali ed un approccio comunitario.

Il coordinamento in rete per la tutela dell’infanzia e dell’adolescenza prevede il coinvolgimento di Enti locali (Provincia, Comuni), dei servizi sociali delle AASL (consultori familiari, spazio giovani), dei servizi sociali dei Comuni, dei servizi di neuropsichiatria infantile, di emergenza sanitaria, delle scuole, delle associazioni del privato sociale, delle forze dell’ordine e della magistratura, affinchè si possano analizzare le diverse realtà territoriali, cogliendone le carenze ed i bisogni specifici e, quindi, intervenire con progetti di intervento sui diversi livelli di prevenzione o gestione dei fenomeni che richiedono tutela.

La battaglia per i genitori e per i figli “si vince o si perde nella capacità di operare assieme delle diverse figure professionali interessate, nel risultato di informare e coinvolgere le famiglie nel lavoro da compiere, nella diffusione della cultura e nella consapevolezza che il bambino sia una plastica creatura in evoluzione, sensibile a tutte le azioni ed omissioni degli adulti che gli sono più vicini” ( Ianniello e Mari, p. 97)

 

Andrea Di Francia

Chairman “Osservatorio diritti dell’Infanzia”

del Kiwanis International Distretto Italia-San Marino

 

Intervento di Andrea Di Francia sulla criminalità minorile e la responsabilità dei genitori, pubblicato sul quotidiano l'Adige di Trento del 16 maggio 2008

BIMBI CHE RUBANO E RESPONSABILITA’ DEI GENITORI

 

Per il dott. Luciano Spina, giudice del tribunale per i minorenni di Trento e V. Presidente dell’Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia,  “Quando accadono episodi del genere (leggi: furti commessi da minorenni), bisogna arrivare alla causa ossia ai genitori. I ragazzi sono solo l’effetto” (Giornale “l’Adige” di Trento del 15 maggio 2008, p. 19).

Affermazione  chiara, lapidaria,  esattissima, oltre che autorevole.

Si consideri, ad esempio, che il rapporto ONU del 2006 ha stimato che il numero dei bambini soggetti a violenza domestica oscilla tra i 133milioni e i 275 milioni e che, nei Paesi sviluppati, il numero di bambini maltrattati varia tra i 4,6 e gli 11,3milioni

La domanda, allora, non è tanto quella di che cosa si può fare per reprimere il comportamento dei minori;  ma di che cosa si deve fare nei confronti dei loro genitori, colpevoli, innanzitutto, di aver violato il dovere costituzionale di “mantenere, istruire ed educare i figli” (art. 30, comma 1 Cost.); responsabili –in altre parole- di aver negato ai propri figli l’esercizio di fondamentali diritti soggettivi, costituzionalmente garantiti e protetti, di cui i figli sono titolari.

Dovrebbe essere ormai a tutti noto che, con la Convenzione di New York del 1989, resa esecutiva in Italia con legge n. 176 del 1991, il minore è passato dalla situazione di minore soltanto protetto, a minore partecipante e cioè a soggetto titolare di veri e propri diritti soggettivi perfetti, autonomi e azionabili anche nei confronti degli esercenti la “potestà genitoriale” (Cass. n. 15145 del 2003). Con la conseguenza che i genitori sono passati da titolari del “potere” (“potestà genitoriale”), a titolari della “responsabilità genitoriale” (Reg. CE Cons. n. 2201/2003). Il che significa, nel concreto, che, attualmente, essi assumono una “posizione di garanzia” nei confronti dei propri figli; sono divenuti, cioè, –agli occhi della legge- garanti del soddisfacimento dei diritti di questi ultimi. Con l’ulteriore conseguenza che, come costantemente insegna la Suprema Corte (cfr. Cass. pen. n. 3124 del 2005; Cass. pen. n. 4331 del 2006), potrebbero divenire  anche penalmente responsabili degli illeciti materialmente commessi dai propri figli: il 2° comma dell’art. 40 del codice penale prescrive, infatti, che non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire (e, nella specie, cfr. Convenzione di New York cit.; artt. 30 Cost. e 147 c.c.; nel caso di accompagnamento sul luogo in cui avviene il reato, si risponde addirittura, a titolo di concorso ex art. 110 c.p.), equivale a cagionarlo. Quindi, anche quando non fosse certa la partecipazione concreta e diretta dei genitori alla commissione del reato, la responsabilità penale degli stessi potrebbe ritenersi  comunque sussistere a norma dell’ art. 40, comma 2 c.p.

All’ente pubblico (il quale sa molto bene che elargire provvidenze alle famiglie non significa, sempre e comunque, garantire protezione ai minori) occorre chiedere sempre più responsabile attenzione nell’impiego di pubbliche risorse: l’esperienza, purtroppo, insegna che, molto spesso, sono proprio coloro, cui la legge demanda l’obbligo di proteggere i minori, ad essere gli artefici delle violenze perpetrate nei confronti degli stessi.

Occorre, quindi, che l’ente pubblico realizzi la nuova filosofia, destinata a finalizzare, effettivamente, gli interventi pubblici in favore dei minori (vittime, molto spesso, come si è visto, dei soprusi e delle violenze degli adulti e, nelle politiche sociali, tuttora ascoltatori passivi ed inermi degli adulti che discorrono intorno ai loro diritti fondamentali).

Non va, infine, sottaciuto che, con riferimento ai Rom, la Suprema Corte (Cass. n. 17857 del 2002) ha statuito che, nell’ambito dei Paesi aderenti all’UE, è da escludere l’esistenza di uno statuto di nomadi di etnia Rom e che, con il 1° gennaio 2007, la Romania è entrata a far parte dell’UE.

Andrea Di Francia

 

Purtroppo si leggono notizie come questa!

2-5-2008

CRONACA
Arrestata anche una coppia di 24 e 25 anni, la loro casa teatro delle violenze
La vittima di turno scelta con il gioco della bottiglia. Fermato un 17enne
Palermo, in manette una madre
vendeva i tre figli ai pedofili
I piccoli coinvolti nella visione di film porno e nel consumo di hashish

PALERMO - Tre fratellini minorenni vittime di abusi sessuali con la complicità della madre. La scoperta è stata fatta dalla polizia di Palermo. I fatti si sarebbero verificati a Ballarò, un quartiere popolare della città. In manette un diciassettenne e tre maggiorenni, accusati di violenza sessuale di gruppo.

Le ordinanze sono state emesse dal gip del Tribunale per i Minorenni di Palermo, Valeria Spatafora, e dal gip del Tribunale di Palermo, Maria Pino, su richiesta dei sostituti procuratori Francesca Lo Verso e Alessia Sinatra. Fra le persone arrestate c'è anche la madre dei tre piccoli, di età inferiore ai dieci anni, che subivano le violenze e poi una coppia, marito e moglie, di 25 e 24 anni, proprietari dell'abitazione in cui si sarebbero verificati gli abusi.

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, la madre dei bambini e gli altri indagati avrebbero abusato per diversi mesi dei 3 fratellini. E' stata una delle piccole vittime, da tempo ospite di una casa famiglia, a raccontare tutto ad un neuropsichiatra infantile. Secondo quanto ricostruito i bambini sarebbero stati costretti non solo ad assistere a "giochi erotici spinti -come spiegano gli investigatori - ma a volte sono stati anche costretti a subirli". In particolare, i 3 bambini sarebbero stati obbligati a partecipare al gioco 'della bottiglia', che stabiliva chi "era il destinatario dell'abuso" perpetrato dalla coppia di coniugi e addirittura dalla madre delle vittime.

Non solo. Gli indagati, all'interno dell'abitazione, non si sarebbero limitati ai giochi sessuali ma avrebbero fumato hashish "facendolo fumare anche agli stessi bambini" ed avrebbero visto film pornografici, sempre in presenza dei piccoli. Le dichiarazioni delle vittime sono state vagliate da operatori e psicologi infantili che in conclusione ne hanno attestato l'attendibilità.

(30 aprile 2008)

 

La Casa Editrice Dott. A. Giuffrè Editore di Milano ha pubblicato il volume di Andrea Di Francia, Chairman Osservatorio Diritti dell’Infanzia e Fabio Dallagiacoma,

“I DIRITTI DEI MINORENNI NELLA GIURISPRUDENZA”.

L’ opera è preceduta dalla Prefazione di Giuseppe Fioroni, Ministro della Pubblica Istruzione e dalla Introduzione di Luciano Spina, Giudice del Tribunale per i minorenni di Trento e V. Presidente dell’Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia.

Il volume si compone di sette capitoli e si caratterizza per la puntuale individuazione e per gli ampi approfondimenti dei singoli diritti dei minorenni, nella società multietnica, nonché della loro tutela anche in sede giudiziaria, operati alla luce della legislazione vigente, interna e internazionale, della migliore dottrina e degli arresti giurisprudenziali, con particolare riguardo alla “rivoluzione copernicana” operata dalla Convenzione di New York 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176. Tale Convenzione ha riconosciuto ai minorenni soggettività piena e generale, affrancandoli da una condizione di mera protezione e segnando il passaggio dal bambino protetto al bambino partecipante. Correlativamente, si è registrato il passaggio dei genitori da una posizione di “potere” a quella, più consona, di “responsabilità”.

Costituiscono un valore aggiunto gli indici (sommario, analitico, degli Autori e delle sentenze riportate) particolarmente curati.

 

ROVERETO

GIOVEDI’ 21 FEBBRAIO 2008, ORE 20,30

SALA FILARMONICA

TAVOLA ROTONDA SUL TEMA ADHD 

I DIRITTI DEL BAMBINO ALLA RISERVATEZZA E ALL’ASCOLTO

Nella prefazione al mio libro (di prossima pubblicazione) su “I diritti dei minorenni nella giurisprudenza”, il Ministro della Pubblica istruzione, prof. Giuseppe Fioroni, scrive, tra l’altro: “La “persona”, dunque, è al centro dell’ impegno e delle attenzioni che ciascun governo deve assumere nell’ambito della propria attività politica e amministrativa. Se ciò vale in linea generale, diventa ancora più stringente e inderogabile in riferimento ai minorenni, nei cui confronti la normativa internazionale ha declinato specifici diritti (alla vita, alla salute, alla propria identità, allo studio, ad essere protetti) che gli Stati firmatari della Convenzione di New York del 1989, tra cui l’Italia, si sono vincolati a recepire nel proprio ordinamento”.

Tutti dovrebbero ormai sapere che, questa Convenzione, resa esecutiva in Italia dalla legge 27 maggio 1991, n. 176, ha operato una vera e propria rivoluzione copernicana, facendo passare il bambino da “bambino protetto” a “bambino partecipante”. “Partecipante” a che cosa ed in forza di che cosa? “Partecipante” ad ogni e qualsiasi attività che lo riguarda, dentro e fuori la propria famiglia. Questa Convenzione, infatti, ha creato in capo a ciascun bambino importantissimi diritti soggettivi, al doveroso esercizio ed alla doverosa tutela dei quali sono primariamente preposti i genitori.

Essere riconosciuto portatore di una soggettività autonoma costituisce, nel percorso evolutivo di ciascun soggetto, il fondamento stesso della propria identità soggettiva, dell’autostima, del rispetto di sé e dell’Altro.

 

Ebbene, a fronte di questa Convenzione, il primo dato che rileva è che in Italia, essa è passata quasi sotto silenzio. Genitori, insegnanti, mondo politico, società sembrano troppo occupati per prestare orecchio a “queste cose”. Lo stesso Tribunale per i minorenni ancora si attarda ad assumere a parametro di riferimento l’”interesse del minore”, anziché il “diritto del minore”. Qualcuno, addirittura, si è permesso il lusso di chiedersi e di chiedere: “A che serve attribuire diritti ai bambini se poi a rivendicarli e ad esercitarli sono sempre i genitori?” Chi si fa e fa simili domande non ha capito assolutamente niente: non ha capito, principalmente, che il riconoscimento in capo ai bambini di diritti soggettivi, ha operato il passaggio dal “potere” (es. “patria potestà”) alla “responsabilità”: l’uno, intriso di “facoltà”; l’altra, connotata di “doveri” e, come dice la stessa parole, di “responsabilità”. A fronte di un diritto riconosciuto al bambino, il genitore non è chiamato a chiedersi se è nel suo interesse o meno; se è il caso di farglielo esercitare o meno. Egli è tenuto a farlo esercitare ed a tutelarlo. Anzi, come dice la Suprema Corte, il genitore e chi ha la responsabilità genitoriale sul minore, assume una “posizione di garanzia”. Il che vuol dire che risponde, anche giudizialmente, del mancato esercizio del diritto o della sua mancata tutela.

 

Fra i tanti diritti riconosciuti al bambino dalla Convenzione di New York, vanno ricordati, in questa sede, il diritto alla riservatezza ed il diritto all’ascolto.

Il diritto alla riservatezza o, come anche si dice, alla privacy è riconosciuto dall’art. 16 della Convenzione, per il quale: “Nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza, e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione.- Il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o tali affronti”.

Il riconoscimento di tale diritto è volto a tutelare il benessere psicologico del bambino ed è posto a presidio di una corretta evoluzione della sua personalità. La sua violazione può, dunque, comportare, per un soggetto in età evolutiva, rischi molto consistenti per il sano svolgimento dei processi di crescita psicologica.

Il fanciullo, quindi, ha il diritto ad essere protetto dalle altrui interferenze nella sua vita privata.

 

Soltanto se tali interferenze si ritengano non arbitrarie o illegali, al fanciullo dovrà essere consentito di esercitare l’altro importantissimo diritto, cioè il diritto all’ascolto. L’esercizio di tale diritto implica che il minore deve essere informato e deve prestare il suo personale consenso se capace di discernimento (si tratta di una capacità che l’art. 15 della legge sull’adozione riferisce, ad esempio, ai minori di dodici anni, atteso che il minore di dodici anni deve essere sempre sentito nella procedura di adozione che lo riguarda). Il fanciullo ha anche il diritto di richiedere pareri legali o medici, senza o contro il consenso degli esercenti la responsabilità genitoriale.

La necessità del consenso informato del minore è prescritta:

a)    dall’art. 5 della Convenzione Europea di Oviedo sui “Diritti dell’uomo e della biomedicina” 4 aprile 1997, ratificata con legge n. 145 del 2001 (la norma prevede che sia possibile effettuare un intervento in campo sanitario solo previo consenso libero e chiaro della persona interessata, la quale ha diritto a ricevere un’informazione adeguata rispetto al fine, alla natura, alle conseguenze e ai rischi dell’intervento in campo sanitario);

b)       dall’art. 34 del Codice di deontologia medica, approvato il 6 dicembre 2006, il quale impone al medico di dare informazioni al minore e di tener conto della sua volontà compatibilmente con la sua capacità di comprensione. Non si tratta di un’informazione generica, ma di un’adeguata rappresentazione di quanto necessario per consentire al paziente una decisione ponderata;

c)          dagli artt. 12 e 13 della Convenzione di New York del 1989, i quali dispongono, rispettivamente che “il fanciullo capace di discernimento (ha) diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa”; che tali opinioni devono essere “debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità” e che, a tali fini, il fanciullo ha il diritto “di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente sia tramite un rappresentante o un organo appropriato” (art. 12); egli, inoltre, ha diritto, tra l’altro,  a ricevere informazioni (art. 13) (il principio dell’ascolto del minore nelle procedure che lo riguardano è uno dei quattro principi fondamentali della Convenzione);

d)       dall’art. 6 della legge 20 marzo 2003, n. 77 (di ratifica ed  esecuzione della Convenzione di Strasburgo 25 gennaio 1966 sull’esercizio dei diritti dei fanciulli), il quale impone all’Autorità procedente di sentire il fanciullo capace di discernimento (l’art. 4 riconosce al minore di chiedere la nomina di un suo rappresentante nel caso di conflitto di interessi con i suoi genitori);

e)          dall’art. 32, comma 2 della Costituzione, per il quale “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”, la quale “non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

 

Dunque: per accertare se una interferenza è legale oppure illegale occorre riferirsi alla legge. Soltanto la legge può consentire le interferenze ed indicarne le modalità. Quelle non espressamente previste dalla legge devono, perciò,  ritenersi  arbitrarie o  illegali.

Legge e non atto amministrativo!

 

Se così stanno le cose, le prime domande che dobbiamo porci sono le seguenti: “L’indagine che si intende o che si sta svolgendo sui bambini nelle scuole inferiori sul tema dell’ ADHD, ossia ‘disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività’ è espressamente prevista o, almeno, consentita da una legge (nazionale)? E se si, quale ne è il fondamento, quali le finalità e le modalità attuative,  quali i principi, quali i limiti?”

E’ chiaro che, se nessuna legge la consente, questa indagine deve ritenersi arbitraria o illegale!

 

Non basta, per consentirla, che siano d’accordo i genitori, il direttore didattico, l’insegnante, l’assessore comunale o provinciale, il medico di base, lo psicologo, ecc. E’ necessario che l’interferenza (perché tale è l’indagine in argomento) sia prevista da una legge dello Stato. Da una legge, aggiungo, che si ha il diritto di conoscere in tutti i suoi elementi. Se la legge non c’è e, nonostante tale mancanza, si effettui egualmente l’indagine, vuol dire che il diritto del bambino, di questo soggetto debole, alla riservatezza, alla tutela della sua personalità, è stato violato. Il che potrebbe comportare anche responsabilità penale per i reati di cui agli artt. 445 (somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica) e 323 (abuso di ufficio) del codice penale. Si consideri che il reato di cui all’art. 445 c.p. è di “pericolo presunto”, per cui prescinde dalla effettiva insorgenza di un pericolo in capo al bambino (cfr. Trib. Torino, sez.I, 24.2.2005, G.A. e altro) e che il “danno ingiusto” menzionato nell’art. 323 c.p. può consistere anche in indagini arbitrarie (cfr. Cass. pen., sez.VI, 2.10.1998, n. 11549).

 

Nel nostro caso, non pare che sussista una legge impositiva dell’indagine di che trattasi. Ma supponiamo che esista. Deve ritenersi sufficiente? Nossignore! Una volta accertata l’esistenza della legge che consenta una tale indagine, i genitori devono anche assicurarsi che l’esecuzione della stessa sia stata autorizzata dal Garante della privacy. L’intervento del Garante è necessario in quanto l’indagine in questione implica, comunque, il trattamento di dati personali, ancor più se, come si dice, si prevede la istituzione di un registro. Ed è appena il caso di osservare che, in altre occasioni, il Garante ha ritenuto che “il diritto dei minori alla riservatezza deve sempre essere considerato come primario” (Provv. 28 maggio 2001, in Boll. 2001,20.7), specialmente se le informazioni concernono il diritto alla salute (Provv. 16 giugno 1999, in Boll. 1999,9,63).

Si tenga presente che il d. lgvo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali) dispone che il trattamento dei dati è ammesso solo: a) previa informativa alla persona interessata degli elementi espressamente indicati (art. 13), b) con il suo consenso espresso (art. 23) o del consenso dell’esercente la potestà (artt. 24 e 82). Si ritiene che il consenso debba essere espresso dal minore in grado di prestarlo, ovvero dal genitore, per il bambino e per l’infante (M. DOGLIOTTI, La potestà dei genitori e l’autonomia del minore, p. 314). Ne consegue che il minore in grado di prestare il consenso sia anche capace di adire il Garante per attivare i rimedi inibitori (principio dell’ abilis ad nuptias, abilis ad pacta nuptialia).

La violazione della sola informativa comporta una sanzione amministrativa da 3.000 a 18.000 euro e, nei casi più gravi, da 5.000 a 30.000 euro (art. 161). Senza considerare le fattispecie penali previste dagli artt. 167 e seguenti del d. lgvo n. 196 del 2003 citato.

La tutela della privacy è così importante che il 29 gennaio 2007 è stata celebrata la prima “Giornata europea della protezione dei dati personali” (un’iniziativa promossa dal Consiglio d’Europa con il sostegno della Commissione Europea, avente lo scopo di sensibilizzare tutti i cittadini sui diritti e sulle libertà fondamentali legali alla tutela della vita privata). L’iniziativa tocca anche il mondo della scuola, come dimostra il binomio “Privacy e mondo della scuola”, intorno al quale ruota la seconda “Giornata europea della protezione dei dati personali”, celebrata il 28 gennaio 2008.

 

I genitori devono, perciò, stare molto attenti, anche perché potrebbero essere chiamati a rispondere dell’involontario danno arrecato ai propri figli. Altrettanto è a dirsi per i dirigenti scolastici e per  gli insegnanti. Genitori ed insegnanti sono oggetto di benevoli assoluzioni da parte di chi, mediante tali assoluzioni, intenda spianare il campo all’indagine: una deresponsabilizzazione che, però, carica di responsabilità e di colpe i bambini. Fatta questa operazione, ci si atteggia a “salvatori della patria”, nel senso che si proclama il benemerito intento di evitare tensioni familiari, riducendo o annientando la “vivacità” dei bambini.

San Filippo Neri –il Santo dei bambini- soleva ripetere: “Bambini state!” (fermi). Ma,  subito dopo, aggiungeva: “se potete!”. Si sa che il bambino non sta mai fermo; che la sua capacità di concentrazione è minima rispetto a quella dell’adulto; che passa rapidamente da un’attività all’altra, come: muoversi, parlare, giocare, leggere, ecc.; che, secondo la ricerca condotta su 2.500 bambini, per ogni ora in più trascorsa quotidianamente davanti alla televisione, cresce di quasi il 10% il rischio di sviluppare disturbi dell’attenzione e iperattività all’età di sette anni.

Sia ben chiaro: non si vuole negare che un bambino possa essere affetto da disturbi neurologici. Ma questi vanno seriamente diagnosticati da parte di specialisti e nelle sedi a ciò deputate (che non è la scuola).

 

Un eminente neonatologo mette in guardia da talune manovre che si fanno in campo medico. Osserva che “Una buona parte della sanità è tuttora orientata alla ipermedicalizzazione (fino all’accanimento terapeutico) con la convinzione che siano così rispettati principi etici. Si usano molti, troppi farmaci, con l’obiettivo dichiarato di offrire più salute. Il bambino nei fatti può essere un ‘oggetto’ di cure o di sperimentazione; il tutto, si dice, a suo beneficio…Il ruolo dominante non è quello del bambino, ma quello dell’operatore tecnico. Oppure c’è un ‘mercato’ che domina le scelte terapeutiche. Il ruolo dominante può essere a livello delle cosiddette ‘multinazionali’, quando queste intervengono su operatori sanitari deboli (ad es. si preferisce alimentare il lattante con surrogati del latte materno o si impongono formule più costose)”.

Andrea di Francia

Avvocato

Chairman distrettuale Kiwanis International,

Osservatorio diritti dell’Infanzia

 

 

 

PROTOCOLLO D’INTESA TRA  TELEFONO AZZURRO ONLUS E DIPARTIMENTO PER LA GIUSTIZIA MINORILE


 
L’11 gennaio 2008 è stato stipulato, tra Il Telefono Azzurro Onlus e il Dipartimento per la Giustizia Minorile del Ministero della Giustizia, un Protocollo d’intesa avente carattere sperimentale, la durata di tre anni rinnovabili, privo di carattere oneroso e fondato sul diritto all’ascolto del minorenne, proclamato dalla Convenzione di New York del 20 novembre 1989, resa esecutiva in Italia con legge n. 176 del 1991.
Il Dipartimento  opera attraverso i Centri per la Giustizia Minorile, presenti su tutto il territorio nazionale, dai quali dipendono i Servizi minorili che svolgono attività di assistenza al minorenne vittima di abuso sessuale, durante tutto l’iter giudiziario, nonché attività di trattamento, recupero e reinserimento nei confronti del minorenne autore di reato.
Con il Protocollo, si conviene, in primo luogo che “le situazioni di disagio riguardanti i minori devono essere affrontate nella misura più ampia possibile, attraverso l’ascolto e la valutazione delle esigenze del minorenne coinvolto come autore o come vittima nel circuito penale o in forme di violenza e soprusi e con l’avvio di iniziative innovative di informazione e sensibilizzazione volte a facilitare azioni di prevenzione primaria, secondaria e terziaria e di recupero e reinserimento sociale del minore”.
Le Parti si sono, perciò, impegnate a “diffondere una cultura di tutela rafforzata a favore dei minorenni che vivono in situazioni di rischio che possano indurli alla commissione di reati o facilitarne la reiterazione”.
In particolare, Telefono Azzurro si è impegnato a fornire “al minorenne che esprime disagio” ed alla sua famiglia “un’accoglienza volta a stabilire un rapporto di fiducia e un sostegno di carattere psicologico, nonché ad attivare la rete dei servizi di pubblica utilità, le strutture sanitarie, socio-assistenziali, di pubblica sicurezza e/o giudiziarie competenti a livello locale per lo specifico settore di intervento, individuando le figure professionali di riferimento per ogni singolo caso trattato”.
Dal canto suo, il Dipartimento per la Giustizia minorile si è impegnato a collaborare con Telefono Azzurro: a) “per iniziative di specifica competenza volte a diffondere la cultura dell’accoglienza, della tutela e della legalità”; b)  attraverso i Servizi minorili, ad entrare in contatto con i minorenni abusanti o abusati, per informare gli stessi e le loro famiglie della possibilità di trovare ascolto e supporto presso i Servizi di Telefono Azzurro; c) per costruire una rete di supporto che offra assistenza al minore.
La realizzazione di tali reciproci impegni è demandata ad un costituendo Gruppo di coordinamento operativo.
E’ da sperare che tutto questo non rimanga soltanto sulla carta e che i diritti dei minorenni ricevano, finalmente, concreta attuazione. Non va dimenticato che la Convenzione di New York del 1989 ha operato una vera e propria rivoluzione copernicana, facendo passare il minorenne dall’area del “superiore” o “preminente” interesse (sempre valutato da altri), all’acquisizione della titolarità di veri e propri diritti soggettivi. I quali, perciò, vanno esercitati e tutelati.
Andrea Di Francia

ADHD

(ATTENTION DEFICIT HYPERACTIVITY DISORDER, cioè disturbo da deficit di attenzione e iperattività)

 

ADHD è la sigla con la quale si indica il bambino  distratto, che non segue le direttive e si agita.  Da taluni si ritiene che si tratta di “malattia” da curare mediante psicofarmaci. E, per accertare nei bambini l’eventuale esistenza di tali sintomi, si cerca di introdurre, nelle scuole (ed in alcune scuole sono già stati introdotti), formulari, la cui risposta segnalerebbe “disattenzione” o “iperattività”.

Per la “disattenzione” si chiede se:

a)      spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro o in altre attività;

b)      spesso ha difficoltà a mantenere l’attenzione nei compiti o nel gioco;

c)      spesso non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente;

d)     spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici, le incombenze o di doveri sul posto di lavoro (non a causa di comportamento oppositivo o di incapacità di capire le istruzioni);

e)      spesso ha difficoltà a organizzarsi nei compiti o nelle attività;

f)       spesso evita, prova avversione o è riluttante a impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale protratto (come compiti a scuola o a causa);

g)      spesso perde gli oggetti necessari per i compiti o le attività;

h)      spesso è facilmente distratto da stimoli estranei;

i)        spesso è sbadato nelle attività quotidiane.

Per la “iperattività”  si chiede se il bambino:

a)      spesso muove con irrequitezza mani o piedi o si dimena sulla sedia;

b)     spesso lascia il proprio posto a sede in classe o in altre situazioni in cui ci si aspetta che resti seduto;

c)       spesso scorrazza e salta dovunque in modo eccessivo in situazioni in cui ciò è fuori luogo (negli adolescenti o negli adulti, ciò può limitarsi a sentimenti soggettivi di irrequietezza);

d)     Spesso ha difficoltà a giocare o a dedicarsi a divertimenti in modo tranquillo;

e)      è spesso “sotto pressione” o agisce come se fosse “motorizzato”;

f)       spesso parla troppo.

Per la “impulsività” si chiede se:

g)      spesso “spara” le risposte prima che le domande siano state completate;

h)      spesso ha difficoltà ad attendere il proprio numero;

i)        spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (p. es:, si intromette nelle conversazioni o nei giochi).

Si ritiene che la risposta a sei (o più) dei suddetti “sintomi”, protratti per almeno 6 mesi, manifesta il corrispondente “disturbo”.

L’ADHD è stata qualificata, da gruppi di psichiatri,  come “malattia”ed è stata inserita, come “disturbo mentale”, nel Manuale Diagnostico e Statistico del “Disturbi Mentali” (in sigla DSM).

La maggior parte dei ricercatori ritengono che la causa del disturbo sia genetica ed anche legata a fattori morfologici cerebrali, prenatali e perinatali, traumatici. Si obietta, da altri, che, fino ad oggi, nessun fenotipo (marcatore biologico) sia stato individuato per l’ADHD; che nessuna prova autenticamente scientifica sia stata fornita circa l’origine genetica della “sindrome” e che, in alcuni casi, si registra una remissione spontanea dei “sintomi” con l’avanzare dell’età del soggetto.

Aggiungo: che vi siano bambini che manifestino iperattività, disattenzione, difficoltà di apprendimento, non si contesta. Si contesta il fatto che tali manifestazioni siano racchiuse in un’unica categoria patologica e che la causa di queste manifestazioni sia una specifica “malattia”. Le cause, infatti, possono essere moltissime e di natura differente. In alcuni casi, ad esempio, potrebbe trattarsi di bambini superdotati e non di un “disturbo”, anzi!

Posto come “malattia”, si introduce la terapia farmacologica con psicofarmaci. Si fa ricorso, generalmente, al metilfenidato (Ritalin) che è un’anfetamina, uno psicofarmaco potentissimo, o suoi derivati. In Italia fu ritirato dal commercio nel 1989, ma ora sembra si voglia reintrodurlo. Un farmacista di Bresso sostiene che molti sono gli effetti collaterali: “Arresto cardiaco, psicosi, ansia, nervosismo, allucinazioni, depressione, insonnia, convulsioni” (vedi www.mentecritica.net) . Peraltro, non tutti gli psichiatri, però, sono d’accordo nell’uso di questi stimolanti in bambini che sono iperattivi.

“Una recente ‘warning’ della Food and Drug Administration ha indicato come potenziali effetti collaterali per l’assunzione a normale dosaggio terapeutico di questo tipo di psicofarmaci il leggero aumento di rischi sanitari, quali il rischio di ictus, l’insorgenza di crisi maniaco-depressive, o, in casi eccezionali ed in presenza di gravissimi fattori predisponenti, la morte improvvisa per arresto cardiaco” (http://it.wikipedia.org/wiki/Sindrome)

Appaiono, dunque, fondate le critiche all’uso di questi medicinali, responsabili, in alcuni casi, di morte (infarto, suicidio). Tali critiche sono mosse da due associazioni che promuovono campagne contro l’uso di tali farmaci, denominate, l’una “giù le mani dai bambini”; l’altra, “perché non accada”.

Il Ministero della Salute avversa tali critiche e le ritiene scientificamente infondate. Si tende ad attribuire analoga posizione anche alla Magistratura.

Preme rilevare che, in relazione a quest’ultima, si dice cosa inesatta. Basti, infatti, pensare che il Tribunale per i minorenni di Milano ha riammesso a scuola, con provvedimento d’urgenza, un bambino che ne era stato allontanato, da oltre un mese, perché ritenuto vivace ed aggressivo. All’udienza era intervenuta anche l’associazione “Giù le mani dai bambini” che conta oltre 200.000 specialisti in rete e svolge attività di farmacovigilanza per l’età pediatrica ( vedi www.giulemanidaibambini.org). Ebbene, tale associazione sottolinea che la comunità scientifica internazionale è molto critica circa l’opportunità di somministrare farmaci psicoattivi ai minori, a motivo dello sfavorevole rapporto rischi-benefici ai minori.

Il Consigliere di Alleanza Nazionale della Provincia Autonoma di Trento, Prof. Cristiano de Eccher, ha presentato, il 12 agosto 2007, un disegno di legge portante “Norme in materia di uso di sostanze psicotrope su bambini ed adolescenti”. La legge intende perseguire “la finalità di tutelare i bambini e gli adolescenti dalla somministrazione di sostanze psicotrope fuori dai casi clinici in cui siano ritenute indispensabili e di promuovere una corretta informazione indirizzata in primo luogo ai genitori e agli educatori sugli effetti a lungo termine dell’utilizzo, anche temporaneo, di tali sostanze, sulla loro reale composizione e sulla disponibilità di terapie e trattamenti alternativi che non contemplino l’uso di farmaci” (art. 1, comma 1). Ciò dopo che, il 26 maggio 2007, il Club di Rovereto (Trento) dei Lions aveva tenuto un Convegno dal titolo “La testa altrove”, con lo scopo “di informare e sensibilizzare rispetto al problema del disturbo da deficit di attenzione ed iperattività”. Non si dispone, purtroppo, degli Atti del Convegno, ma la folta presenza di neuropsichiatri e psicologi lascia facilmente intuire che si sia determinata una autopromozione dell’ADHD.-

Dal canto suo il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani, Onlus, contrario all’uso di psicofarmaci ai minori, ha organizzato, per il 13 marzo 2008, ore 20,30, presso la sala Mart di Rovereto la Conferenza “Iperattività e disturbo da deficit d’attenzione sui bambini e ragazzi. Fatti ed opinioni a confronto”. Ho già dato la mia disponibilità. 

Tanto si comunica perché di rilevante interesse generale e perché gli amici kiwaniani ne prendano buona nota, con ogni possibilità di intervenire sullo specifico tema nell’ovvio, esclusivo interesse della tutela dei bambini.

Andrea Di Francia

Chairman distrettuale Kiwanis Osservatorio diritti dell’Infanzia

 

LA PRIMA ESEMPLARE CONDANNA PER “TURISMO SESSUALE” IN TAILANDIA E CAMBOGIA


E’ intervenuta la prima esemplare condanna per turismo sessuale in danno dei minori. E’ toccato al tribunale di Milano pronunciarla (la sentenza è dell’8 marzo-19 luglio 2007; porta il n. 2761 ed è pubblicata nel n. 49 del 15 dicembre 2007 di Guida al diritto, p. 63 ss.).
I fatti contestati erano quelli di violenza sessuale aggravata, di prostituzione minorile reiterata, di pornografia minorile e di detenzione di materiale pedopornografico.
A porti in essere era stato un italiano che si recava regolarmente in Tailandia e Cambogia dove aveva avuto reiterati rapporti sessuali con minori di età tra i 7 e i 14 anni.
Nelle intercettazioni, l’imputato si era vantato delle proprie “prodezze”, consistite nell’aver avuto molti rapporti sessuali con ragazzini e ragazzine adescati in quei Paesi che poi riprendeva e fotografava in pose oscene per inserirli in un catalogo da offrire a clienti.
Ed ecco il dispositivo della sentenza:
“Visti gli artt.533,535 c.p.p. dichiara (A) colpevole dei reati ascritti unificati ex art. 81 cpv.c.p. e lo condanna alla pena di anni quattordici di reclusione ed euro 65.000 di multa nonché al pagamento delle spese processuali. Visti gli artt. 29,32,609 novies, 600 septies c.p. dichiara l’imputato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici, in stato di interdizione legale durante la pena, interdetto in perpetuo da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado nonché da ogni ufficio o servizio in istituzioni o strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori, interdetto in perpetuo da qualsiasi ufficio attinente alla tutela ed alla curatela. Visti gli artt. 600 septies, 240 c.p. ordina la confisca e distruzione di quanto in sequestro”.
La sentenza è particolarmente importante in quanto, oltre ad essere la prima in materia, pone statuizioni di non lieve momento, quali:
a) le incriminazioni introdotte con la legge n. 269 del 1998 in materia di pornografia minorile sono volte –come statuirono le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione- ad apprestare “una tutela anticipata della libertà sessuale del minore, reprimendo quei comportamenti prodromici che ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo e l’immissione nel circuito perverso della pedofilia” (Cass. S.U. 31 maggio-5 luglio 2000, n. 13);
b) con detta legge, il legislatore italiano si è uniformato ai principi delle convenzioni e delle deliberazioni internazioni in materia (Convenzione dei diritti del fanciullo di New York del 1989, ratificata in Italia nel 1991 e dichiarazione della Conferenza mondiale di Stoccolma del 31 agosto 1996);
d) il reato di cui all’art. 600 bis , comma 2 del codice penale (il quale, nella edizione sostituita dall’art. 1 della legge 6 febbraio 2006, n. 38, dispone: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 5.164”) sussiste anche nell’ipotesi in cui si fornisca al minore vitto e alloggio in cambio di prestazioni sessuali. Il giudice osserva che “fornire ad un minore vitto e alloggio e , cioè, gli indispensabili mezzi di sussistenza in cambio delle sue prestazioni sessuali equivale a corrispondere allo stesso una utilità, non solo economicamente valutabile, ma direttamente economica soprattutto in un paese come la Tailandia ove –come è pacificamente emerso dal dibattimento- la condizione di indigenza della popolazione e, soprattutto, dei bambini è tale che un tetto ed un pasto costituiscono per tanti un vero e proprio miraggio”;
e) per il nostro ordinamento è pedofilo chi ha rapporti sessuali con un bambino.
La novità assoluta è data dal fatto che, fino ad ora, nessuna pronuncia della magistratura italiana aveva riguardato episodi di sfruttamento sessuale e prostituzione minorile compiuti fuori dai confini nazionali. La sentenza del tribunale di Milano è destinata, perciò, a passare alla storia per essere la prima sentenza ad avere applicato l’art. 604 del codice penale che condanna i fatti di prostituzione e pornografia minorile, detenzione di materiale pornografico, pornografia virtuale, iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile, anche se commessi all’estero.
Si sa che nostri connazionali, al fine di praticare sesso con minori, organizzano periodi di vacanza in Filippine, Taiwan, Tailandia, India, Ceylon, ma anche Messico, Brasile, Venezuela “che non solo tollerano la prostituzione minorile, ma spesso la propagandano per incassare valuta pregiata. Le vittime, invece, sono i bambini ‘argati’, quelli doppiamente abusati: dalla povertà in cui vivono e dalla opulenza di chi li violenta” (A. Natalini, in op. e loc. citt., p. 68).
Un grande bravo al tribunale di Milano; la speranza che altri tribunali si conformino a tale decisione e che la norma di cui all’art. 604 del nostro codice penale possa essere recepita da altri ordinamenti giuridici, almeno a livello europeo, onde contrastare l’aberrante, indegno, squallido e perverso fenomeno della turismo sessuale.

Andrea Di Francia
Chairman distrettuale Osservatorio diritti dell’Infanzia.

 

 

 

I  10 comandamenti del Signor Neonato (*)

 

               

Ogni bambino ha diritto alla vita, alla salute, alla scuola, ad avere una famiglia, a giocare,… ed anche ad essere ascoltato. È comunque fondamentale, fin dai primi anni, educarlo non solo ad aver coscienza dei suoi diritti, ma anche ad assumersi responsabilità, educandolo al rispetto dei valori universali e assoluti che danno fondamento alla persona umana.

Così come vogliamo “una città a misura di bambino” dobbiamo realizzare anche “un mondo a misura di bambino”.

Noi possiamo (dobbiamo!) interpretare i suoi diritti, dare voce al Signor Neonato e fare nostri i dieci comandamenti che lui può darci. Questi sono comandamenti che tutti i genitori possono fare propri.

In realtà non ci sono grandi differenze tra i comandamenti del Signoreddio (dall’alto più alto) e questi “comandamenti” del Signor Neonato (dal basso più basso) … E forse i bambini possono aiutarci a capire meglio i 10 comandamenti divini e a confermare la loro validità. Questi comandamenti valgono per noi nei confronti dei nostri figli, ma anche nei confronti del resto dell’umanità.

1.      Io sono il Signor Neonato, il cittadino più piccolo e più inerme del mondo: nessuno ha più diritti di me. Ascoltatemi!

2.      Non nominare il mio nome senza pensare che io sono il tuo futuro, che io sarò quando tu non sarai, che sarò io a portare avanti le tue idee…

3.      Ricordati di pensare a me ogni giorno, in ogni atto che fai. Comportati come se io ti potessi sempre vedere e giudicare…

4.      Onora i bambini, rispettali e aiutali a crescere e diventare uomini responsabili. Dialoga con loro con autorevolezza e comprensione, sicurezza e serenità: allora ti ubbidiranno.

5.      Non fare loro nessuna violenza, educa la loro naturale aggressività col dialogo, senza reprimerla ma anche senza subirla. Educa alla pace e alla solidarietà.

6.      Non commettere nessun atto che possa deviare la maturazione di una sana sessualità. Aiutali ad esprimere i loro affetti col dialogo. Rendi responsabili gli adolescenti in modo da evitare concepimenti indesiderati.

7.      Non rubare i diritti alla salute, al gioco, all’istruzione di ogni bambino del mondo, del mondo più povero soprattutto. Ogni euro da te sprecato è rubato ad un bambino che sta morendo di fame. Non sporcare il mondo in cui i nostri figli cresceranno e vivranno.

8.      Non imbrogliarli, non dire mai falsità. Soprattutto con i bambini occorre avere il massimo rispetto per la verità e l’onestà, ad ogni costo.

9.      Non desiderare di avere “la roba” degli altri. Le cose di questo mondo non sono nostre, ma dei nostri figli. Nel mercato, nel consumismo dominano purtroppo l’Avere e l’Apparire. Sii sobrio.

10.  Non desiderare di dare a tuo figlio un altro genitore. Sii responsabile nei suoi confronti fin dal momento del concepimento. Tuo figlio ha diritto ad avere una famiglia solida e non confusa. I figli di coppie separate rischiano molto più degli altri di crescere poveri e infelici.

 

Il BAMBINO (e in particolare il NEONATO) è:

 il simbolo unico e concreto del futuro dell’umanità

 l’abbiccì di ogni discorso sull’esistenza umana

l’unità di misura del comportamento di ogni uomo

l’1+1 che precede tutte le altre operazioni della vita

la terza dimensione del mondo (dopo l’uomo e la donna)

l’unico punto fisso su cui si può far leva per sollevare il mondo

il bandolo nascosto della matassa dell’esistenza umana

la persona che, alla nascita, non possiede nessun avere ed è  tutto essere

filo di Arianna nel labirinto della vita

il minimo comun denominatore che ci semplifica i calcoli complessi della vita

il titolare dei massimi diritti ad essere (ad essere bambino)

il vero e autentico protagonista della famiglia

inesperto alpinista che si affida a due guide (patentate e responsabili!)

“l’archetipo di ogni agire responsabile” (Jonas)

il miglior punto di riferimento per la nostra vita

il protagonista del nostro futuro, del futuro del mondo

la “pietra di paragone” del nostro comportamento

materiale esplosivo da maneggiare con cura (non batterlo, non scaldarlo)

come un profeta (ma senza parole) può indicarci la strada che porta all’Essere assoluto.

 

(*) Le pagine che precedono e dei DIECI COMANDAMENTI DEL NEONATO sono tratte dal libro “FARSI BAMBIN” PER CAMBIARE IL MONDO.- Alle radici dell’essere” del prof. dott. DINO PEDROTTI, pediatra neonatologo; già primario del Reparto neonatologia dell’Ospedale santa Chiara di Trento e, attualmente, consulente pediatra dell’Ospedale S. Camillo di Trento.

Il prof. dott. Dino Pedrotti mi ha autorizzato a farne l’uso che voglio, nel senso che mi ha autorizzato a diffonderle agli amici Kiwaniani.

 

Andrea Di Francia

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